Dic
4
By Il Potatore
Commenti disabilitati su Conosciamo il favino…
Categories: Allevamento, Potatore news
Tags: animale, azoto, azotofissazione, bestiame, cirro, favino, ovario, sioa
Dic
4
Il favino è una leguminose appartenente alla tribù delle Vicieae. Appartiene alla varietà minor, si distingue dalle altre varietà in base alla dimensione dei semi; quelli del favino sono rotondeggianti e relativamente piccoli (1.000 semi pesano meno di 700g) e si impiegano per seminare erbai e sovesci e anche come concentrati nell’alimentazione del bestiame.Il favino è una pianta annuale, a rapido sviluppo, a portamento eretto, glabra, di colore grigio-verde, a sviluppo indeterminato. La radice è fittonante, ricca di tubercoli voluminosi. Gli steli eretti, fistolosi, quadrangolari, alti fino a 1,50 m (media 0,80-1,00) non sono ramificati, ma talora si può avere un limitatissimo accestimento con steli secondari sorgenti alla base di quello principale.Le foglie sono alterne, paripennate, composte da due o tre paia di foglioline sessili ellittiche intere, con la fogliolina terminale trasformata in un’appendice poco appariscente ma riconducibile al cirro che caratterizza le foglie delle Vicieae. I fiori si formano in numero da 1 a 6 su un breve racemo che nasce all’ascella delle foglie mediane e superiori dello stelo. I fiori sono quasi sessili, piuttosto appariscenti (lunghezza 25 mm), la corolla ha petali bianchi e talora violacei e, quasi sempre, con caratteristica macchia scura sulle ali. L’ovario è pubescente, allungato e termina con uno stigma a capocchia, esso contiene da 2 a 10 ovuli.Nel favino la fecondazione può essere allogama, con impollinazione incrociata operata da imenotteri (api e bombi), o autogama. L’ovario fecondato si sviluppa in un baccello allungato, verde allo stato immaturo, bruno quando maturo e secco, esso contiene da 2 a 10 semi.Uno degli usi più frequenti del favino è quello come coltura da sovescio, in questo caso il favino va seminato a inizio autunno, così che abbia raggiunto un buono sviluppo prima dei freddi invernali, e poi in primavera quando si trova in fioritura la coltura viene arata in modo che tutta la parte verde sia interrata. Così facendo si arricchisce il terreno di sostanza organica che sarà facilmente degradata in quanto il terreno dove si trovava il favino è ricco in azoto grazie all’azoto fissazione dei batteri simbionti delle radici e quindi i microrganismi troveranno un substrato ideale sul quale moltiplicarsi e in seguito degradare la sostanza organica. Inoltre, con questa tecnica, si arricchisce di molto il contenuto in acqua del terreno che sarà ceduta lentamente e quindi si eviteranno stress idrici alle colture che seguiranno. Nonostante una parte di azoto venga usato dai microrganismi nel terreno ne rimane una buona quantità, per questo si deve evitare di fare il sovescio di leguminose per vari anni sullo stesso appezzamento soprattutto se ci sono colture arboree perché la forte presenza di azoto promuove un’anticipata ripresa vegetativa correndo quindi maggiori rischi di gelate tardive.Altro uso che negli ultimi anni sta prendendo campo è quello di usare il favino come coltura rinettante, questo tipo di coltivazione ha due scopi principali, uno è quello di evitare l’erosione del terreno durante le piogge autunnali e invernali, soprattutto in terreni collinari che altrimenti rimarrebbero scoperti per tutto il periodo invernale, e altra importante funzione è quella di evitare lo sviluppo di infestanti così quando si arriva a coltivare la coltura principale abbiamo un terreno completamente sgombro da infestanti. Questo perché questo tipo di colture sono seminate in maniera molto fitta e hanno un rapido sviluppo e soffocano tutte le altre essenze, poi, quando sono sviluppate, non fanno passare la luce e quindi le infestanti non possono germogliare.Quella che doveva essere la vocazione principale della coltivazione del favino e cioè la produzione di granella per alimentazione del bestiame negli ultimi decenni era andata scomparendo, soppiantata dalla soia, preferita in quanto ha un altissimo contenuto in proteina.Per l’alimentazione del bestiame si usano le farine d’estrazione o i panelli, cioè soia a cui è stato estratto l’olio e nella quale la percentuale proteica è concentrata raggiungendo valori del 46%, il favino invece ha un titolo in proteine del 20-21% e quindi il confronto non era proponibile, basta meno della metà di soia rispetto al favino per coprire i fabbisogni di un animale. Ma negli ultimi anni si è riscoperto perché la soia è in gran parte OGM e quindi tutti gli allevamenti biologici non la possono utilizzare per alimentare il proprio bestiame e quindi sono ritornati ad usare o il pisello proteico o il favino che non hanno subito nessun tipo di modificazione genetica.Una delle varietà che è più usata in tutto il centro Italia è la “Vesuvio” che si adatta molto bene anche a terreni pesanti, e non richiede irrigazione. Le aziende biologiche sono le più interessate all’utilizzo del favino per i vari motivi visti primi, anche l’uso come coltura rinettante e da sovescio è molto importante in quanto nelle aziende biologiche non si possono usare diserbanti e quindi arrivare alla semina avendo un terreno sgombro da infestanti non è cosa da poco conto, come pure il controllo dell’erosione che dovrebbe interessare tutte le aziende ma maggiormente quelle che non possono fare un largo uso di concimi chimici e quindi perdere la parte superficiale del terreno che è quella più fertile diventa una grave perdita
Gen
17
Gen
11
margherita
Il lupo è un animale che da sempre affascina e attira l’attenzione, soprattutto negli ultimi dieci ann
i in Svizzera dove sta ritornando a ripopolare il territorio. Questo ripopolamento ha avuto inizio nel 1995 e si sta espandendo sempre di più: ha raggiunto lo spazio alpino dell’Italia e della Francia e sta raggiungendo le Alpi centrali. Ma sul territorio svizzero ci sono ancora molti ostacoli, uno di questi è (come di consueto) l’uomo. La porta d’ingresso principale per entrare in Svizzera è il Vallese da cui poi si può accedere ad un altro cantone, ma purtroppo il lupo non può attraversarlo perché qui ci sono le pecore al pascolo e, quando è affamato le attacca, per questo i pastori li abbattono. Questo fenomeno non fa che peggiorare la situazione: i lupi rischiano l’estinzione e ora che si intravede un barlume di speranza sulla loro sopravvivenza, arriva l’uomo, che come al solito rovina tutto, solo perché questo povero animale affamato uccide una o due pecore per non morire di fame; io penso che noi faremmo lo stesso se non mangiassimo da giorni interi, e poi le pecore mica rischiano l’estinzione!!!e se ne trovano a milioni. La caccia al lupo è tutt’ora assolutamente vietata e per chi infrange questa regola sono previste severe punizioni. Anche se rimangono in circolazione i bracconieri che non perdono un minuto per abbattere un innocente animale in cambia di denaro.
Il wwf è prontamente intervenuto: ha fatto un sondaggio da cui è risultato che solo il 20% della popolazione svizzera non accetta il lupo. Per tanto ha dichiarato di voler suscitare, in futuro, dibattiti costruttivi sulla convivenza con il lupo e sulla protezione delle greggi senza nessuna
E ricordiamoci che il lupo è l’antenato del nostro fedele cagnolino e quindi, come si ha rispetto per il cane, lo si deve avere, a maggior ragione, per il lupo.
Mar
9
di Me.Cr.
Dei ricercatori spagnoli hanno fatto nascere il clone di uno Stambecco estinto nel 2000: è vissuto pochi minuti ma la tecnica,una volta perfezionata,potrebbe permettere il salvataggio di numerose specie a rischio di estinzione.
Lo stambecco dei Pirenei è un mammifero della famiglia delle capre estinto nove anni fa. Per qualche giorno un cucciolo di questo animale è stato stabilito in un centro della tecnologia,a Saragozza.Era una femmina,nata per clonazione dell’ultimo esemplare trovato morto nel gennaio del 2000.I ricercatori hanno estratto e conservato alcune cellule dell’ultimo stambecco,ne hanno estratto il DNA e lo hanno inserito nell’ovulo della capra domestica. Ne hanno fatto così nascere un piccolo stambecco,e cioè il suo clone.
Purtroppo il cucciolo è morto in breve tempo poiché era affetto da una malformazione polmonare. Ha conquistato però un importante primato,almeno dal punto di vista scientifico:è stato il primo esemplare di animale estinto ad essere stato riportato in vita. Più avanti questa tecnica permetterà,appunto, di salvaguardare le specie a rischio. L’idea di utilizzarla per riportare in vita animali preistorici come i dinosauri,i mammut o le tigri dai denti a sciabola è invece lontana dato che il loro DNA è irreparabilmente compromesso,anche se i loro resti si sono conservati apparentemente bene,per esempio nel ghiaccio. Attualmente ci sono diversi progetti che stanno lavorando alla conservazione del DNA delle specie a rischio.